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Un gabièn bianch

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Agosto ce lo siamo sempre immaginati come un mese “in pausa”. Un mese tranquillo nel quale però, forse, c’è il rischio, mentre tutti si affannano a cercare di inventarsi la migliore forma di vacanza, di vivere momenti di solitudine.


A questo tema, Carlo Pagnini dedica una “svolazzante” quartina, che mette in relazione cuori e vite così diverse e così lontane ma così intimamente e intensamente legate. Si intitola “El gabièn bianc”, e in quattro versi ci regala una immagine che ci resterà dentro.


Composta nel 1983, ha trovato posto nell’antologico “Una vita sa… le mi stranezz” (Nobili Editore 1989) in “Arciapland qua e là” per Editrice Flaminia (1983) e, ovviamente, in “Sa un fil de luc” di Neftasia Editore del 2007, da dove abbiamo attinto e attingiamo ogni mese per realizzare questa nostra pagina.


Come ad ogni uscita, anche in questo numero trovate la poesia in originale “pantanese”, la traduzione poetica in italiano, un glossario ragionato e il link che rinvia ad un video in cui Carlo Pagnini stesso vi accompagna nella lettura.


Link al al Video della poesia in esclusiva per i lettori del riflesso della notizia:


Un gabièn bianch

Dria ‘na vechia barca, un gabièn bianch,

el scivola tel vènt stachèd dal branch.

El marinèr il sent dentra de ló

come l’angoscia da non vedle pió.


Un gabbiano bianco

Dietro una vecchia barca, un gabbiano bianco,

scivola nel vento, separato dal branco.

Il marinaio lo sente dentro di se

come l’angoscia di non vederlo più.


GLOSSARIO

dria = dietro

gabièn = gabbiano - nel dialetto del porto, e in alcune zone del centro/mare, il gabbiano è chiamato cruchèl (così come in modo molto simile è chiamato in gran parte della costa adriatica: coccale, cucale, cucal, cocal, crocal, cochel…)

branch = branco - in realtà, a voler essere pignoli si sarebbe dovuto usare stormo, che probabilmente non ha un corrispondente nella variante dialettale pantanese (dal quartiere di Pantano) in cui scrive Carlo Pagnini

marinèr = marinaio

vedle = vederlo

pió = con l’accento acuto che fa assomigliare quella o ad una u (e in effetti altri poeti e scrittori dialettali e in alcune occasioni anche lo stesso Pagnini, preferiscono scrivere più)

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