Giuseppe Mazzini
- Stefano Quadri

- 5 ott
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Terza Parte

Mazzini si sentiva frustrato, perché desiderava un’Italia unificata attraverso una Rivoluzione dal basso, e non per iniziativa di qualche Principe. Molti amici lo avevano abbandonato e i giovani non accettavano più i suoi ordini. Era deluso anche dal punto di vista umano per aver dato fiducia a tanta gente, che poi scopriva essere spie dell’Austria o del Papa. Provava rimorso del sacrificio di tanti, anche se spesso non ne aveva nessuna colpa. Dei soldi che gli passavano di mano, procurati soprattutto dalle sue amiche inglesi, per mandare avanti la scuola e il giornale degli operai, gli restavano solo pochi spiccioli per comprarsi un tozzo di pane, un pezzo di formaggio e un bicchiere di birra.
“Unico mio conforto è quello di trovarmi la sera nella mia camera, presso al mio fuoco con un sigaro, in pantofole e solo.” Invece di coricarsi scriveva fino all’alba: “Caro Lamberti, abbiate il coraggio e la coerenza della nostra fede: siate intolleranti, esclusivi, e ditelo: fate guerra alla doppiezza, al machiavellismo, al dispotismo, al federalismo e a tutti gli ismi possibili: non curate le conseguenze, nessuno di noi può calcolarle: se qualcosa s’ha da fare in Italia, è con elementi nuovi, ignoti ora a noi medesimi e a tutti: la generazione ch’era giovine quando abbiamo cominciato, è vecchia ora, e s’ha da sbandire”.
Lamberti raccoglieva tutte le lettere di Mazzini e le rubricava in un documento destinato a provare ai posteri “i sacrifici di Giuseppe Mazzini, per far libera, una, indipendente l’Italia”. Il fallimento dei Fratelli Bandiera mise fine al metodo insurrezionale, perché la maggior parte dei patrioti passarono ai moderati, che avevano il vantaggio di poter operare alla luce del sole. Infatti non si correva alcun rischio a leggere il Primato di Gioberti e le Speranze di Balbo, e a discuterne nei salotti, nei caffè e nelle parrocchie.
Il moderatismo mise la parola fine ad ogni azione rivoluzionaria di carattere popolare. Ma se non si poteva contare sul popolo, a chi affidare il compito di fare l’Italia? A suggerire un programma concreto fu il nobile piemontese Massimo D’Azeglio, cugino di Balbo, e ma rito della figlia di Manzoni, Giulia. Ecco la sua idea: rinunciare alla Rivoluzione e unire tutte le forze patriottiche intorno all’unico Principe che poteva condurle alla vittoria: Carlo Alberto, Re del Piemonte. D’Azeglio ne parlò al Re che si rese disponibile a dare il suo esercito “per la causa italiana”. Scrisse così Degli ultimi casi di Romagna che, dopo il Primato e le Speranze, fu la terza e più efficace gran de opera del pensiero moderato. In questa opera accusava il governo pontificio, de nunciandone la corruzione e l’inefficienza.
La Chiesa reagì con violenza, mentre Mazzini, che con gli altri scrittori moderati era stato spietato, riconob be che l’opera di D’Azeglio poneva in maniera chiara il problema nazionale e ne lodò l’efficacia. Il moderatismo piaceva a Carlo Alberto, non solo per ché bloccava l’idea rivoluzionaria di Mazzini, ma an che perché era una creazione piemontese e tutto il liberalismo italiano, ora, guardava a Torino e non più a Firenze.





