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A nasc e a mor


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Ottobre ha tutte le caratteristiche giuste per essere considerato il mese della riflessione: l’estate si allontana, la luce cambia, le giornate si accorciano e si fa più spazio al pensiero, alla memoria, all’introspezione. È come se l’anno, arrivato al suo autunno, invitasse ciascuno a fare il punto, a guardarsi dentro e a mettere ordine — non solo nei cassetti, ma anche nelle intenzioni.


Molti poeti e scrittori hanno colto questa qualità di un tempo sospeso tra ciò che è stato e ciò che verrà, ideale per pensare, ricordare, progettare. La poesia che abbiamo scelto per ottobre è “A nasc e amor”, una profonda riflessione, di quelle che si fanno davanti allo specchio. È stata composta nel 1983, ed ha trovato posto nell’antologico “Una vita sa… le mi stranezz” (Nobili Editore 1989) e in “Sa un fil de luc” di Neftasia Editore del 2007, da dove abbiamo attinto e attingiamo ogni mese per realizzare questa nostra pagina.


Come ad ogni uscita, anche in questo numero trovate la poesia in originale “pantanese”, la traduzione poetica in italiano, un glossario ragionato e il Link che rinvia ad un video in cui Carlo Pagnini stesso vi accompagna nella lettura: https://www.youtube.com/watch?v=Dvyfu8u5aYw


A nasc e a mor


Davanti a mè, tel spèch’, la mi’ figura

muta la me fisèva mus a mus

e mè a la contemplèva un po’ confus

tel vedla acsé severa, acsé sigura.


È stèd un chiod ch’ el s’è spicèd dal mur

ch’i la i à fata arducia tutt cuncén

e sparpajèdi com’è tant fiulén

che spaventèd i brancola tel scur.


Mo el giorne el nasc anca se un antre el mor

senza l’aiut dla stima o del disprezz

davanti a l’impotenza del stupor.


Forse par quest da quant a t’ò incuntrèda

gioia e torment m’arduc l’anima a pezz

e a nasc e a mor cent volt t’una giurnèda.


NASCO E MUOIO


Davanti a me, nello specchio, la mia figura

muta mi fissava viso a viso

e io la contemplavo un po’ confuso

vedendola severa e anche sicura.


È stato un chiodo che staccandosi dal muro

l’ha ridotta in minuscoli pezzetti

sparpagliati come tanti bambini

che spaventati brancolano nel buio.


Ma il giorno nasce anche se un altro muore

senza l’aiuto della stima o del disprezzo

davanti all’impotenza dello stupore.


Forse per questo da quando ti ho incontrata

gioia e tormento mi riducono l’anima a pezzi

e nasco e muoio cento volte ogni giornata.


GLOSSARIO RAGIONATO

spèch’ = specchio - il consueto tema della perdita delle doppie e contemporaneamente la necessità di mantenere duro il suono della c finale, impongono a Pagnini la scelta curiosa di inserire un apostrofo finale

f isèva mus a mus = alla lettera “mi fissava muso a muso”, insomma con durezza

védla = vederla

acsé = così

spicèd = staccato - pur con significato simile “stachèd” non avrebbe avuto la stessa efficacia e non sarebbe stato in linea con il “pensa re in dialetto”

ch’i la i à fata arducia = l’ha ridotta; alla lettera “l’ha fatta ridurre”; qui il motivo di questa scelta meno diretta è tutto legato alla necessità di stare dentro la metrica del verso

cuncén = pezzetti - anche questo è uno di quei termini che svelano l’appartenenza al mondo di chi “pensa in dialetto” e per chiedere di aspettare un attimo direbbe “aspeta un cuncinén” sparpajèdi = sparpagliati

mo = “ma” congiunzione avversativa; in altri casi il dialetto usa “ma”; il “mo” è più potente incuntrèda = incontrata

arduc = torna il verbo ridurre, per chiudere la similitudine tra lo specchio e l’anima, entrambi a pezzi

cent volt = cento volte

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