Un salon pén d’confusion
- Carlo Pagnini
- 2 apr
- Tempo di lettura: 5 min
Siete pronti? Questo mese andiamo sul… difficile! Naturalmente scherziamo, anche se, in effetti, la lunghezza della poesia che abbiamo scelto, potrebbe un po’ spaventare. Ma l’invito è sempre lo stesso. Non cedere (almeno non subito) alla tentazione di andare direttamente a leggere la traduzione.
Del resto la poesia è talmente bella e profonda, che l’impresa di provarci vale sicuramente l’impegno. Come sempre può aiutare il Link che rinvia alla interpretazione dello stesso Pagnini e il prezioso glossario ragionato.
Tra l’altro si tratta della poesia con cui Carlo Pagnini apre spesso i suoi spettacoli (lo ha fatto anche il 9 febbraio scorso dal palco del Teatro della Piccola Ribalta). Si intitola “Un salón pén d’confusion”, ed è stata composta nel 1977. È stata pubblicata in “Qualca goccia tel mer” (1979 - AAS Pesaro Editore), nel prezioso volume antologico “Una vita sa… le mi stranezz” (Nobili Editore 1989) e in “Sa un fil de luc” di Neftasia Editore del 2007, da dove abbiamo attinto a attingiamo ogni mese per realizzare questa nostra pagina.
La particolarità è che non era stata tradotta neppure in quest’ultimo volumetto, per cui la traduzione che proponiamo oggi su questa pagina può essere considerata a tutti gli effetti inedita ed esclusiva. Aggiungiamo che dà il titolo ed è ovviamente inclusa anche nel Long Playing pubblicato da Real Sound per la Cassa di Risparmio di Pesaro nel 1978. Allora? Si va insieme a scoprire cosa c’è in questo “salone pieno di confusione”?
IL VIDEO DELLA POESIA IN ESCLUSIVA PER I LETTORI DEL RIFLESSO DELLA NOTIZIA:
Un salon pén d’confusion
Ogni tant senza ragion
a m’artrov in t’un salon
do’ che un po’ la voc rimbomba
com’è dentra in t’una tomba.
Tel piancit fa confusion
un scróll d’ roba a ravaston
e in ti vetre se rispechia
tutt cla roba nova e vechia.
Pèr ch’ sia tutta porcheria
bona sol da butè via
anca se tla nostra vita
tantle volt la c’è servita.
L’è tutt rob ch’ s’ bótta malé
senza stèj tant a pensè
e pó dop acsé muchièd
le va’ a fnì dimentichèd.
C’è un ritratt t’ ‘na gran cornig
de mi’ nonn già dventèd grig,
un bel libre mez apert
da la polvra tutt cupert
trapasèd da un bugh d’ ‘na scheggia
che nisciun podrà pió leggia.
Tle sacoc d’un gran capott
da la guera del dic’dott
c’è tachèdle t’ un nastrén
dó mdaj d’ brónz d’un suldatén.
T’un manubrio d’ bicicletta
mésle a forma de sachetta
le pèll sécch de dó cunéj,
una cioca de capéi,
dó pantofol, un bretén,
un casétt pén d’ figurén,
un bruchétt, un foj d’ lunèri,
una corda d’un sipèri,
un cest d’ lèna sa un scaldén,
una morsa, un mandulén,
una tessra, un distintiv,
un Cruc’féss sa ‘l Signor viv
e una gran lettra d’amor
profumèda e dentra un cor.
T’una confusion acsé
ann’ el sò co’ a stagh a fè
senza pudé mova un dit.
A me sent come smarit.
Un po’ d’ordin al vria fè
mo an sò gnanca in do’ cmincè.
A i avria bsogn d’aiut
e ann’ el dmand... a i arman mut.
A me sent pietrifichèd
tra cle rob abandonèd.
Tutt le volt ch’a m’ trov malé
a so’ sempre da par mè
inchiudèd par ora e ora
senz’avé ‘l coragg d’ nì fóra.
A cred propi ch’an pudria
gnanca dì ben do’ ch’a sia,
a so’ sol ch’a me sprofond
un bel po’ fóra de st’ mond.
L’è un gran sforz de volontà
ch’el me chèva da malà.
Sol sa quell tutt arsparésc
e po’ tl’ ultim a capésc
propi préma da vnì via
ch’ l’è ‘l salon dla testa mia.
Un salone pieno di confusione
Ogni tanto senza ragione mi ritrovo in un salone qui la voce un po’ rimbomba come dentro ad una tomba.
Il pavimento è ingombro tanta “roba” sparsa qua e là e nei vetri si rispecchia tutta quella “roba” nuova e vecchia.
Sembra che sia tutta robaccia buona solo da buttare via anche se nella nostra vita tante volte ci è servita.
Sono tutte cose che si buttano lì senza starci troppo a pensare e poi dopo così ammucchiate vanno a finire dimenticate.
C’è un ritratto in una gran cornice di mio nonno già diventato grigio, un bel libro mezzo aperto dalla polvere tutto coperto trapassato da un buco di una scheggia che nessuno potrà più leggere.
Nelle tasche di un gran cappotto dalla guerra del diciotto ci sono attaccate in un nastrino due medaglie di bronzo di un solda tino.
In un manubrio di bicicletta messe a forma di sacchetto le pelli secche di due conigli, una ciocca di capelli, due pantofole, un berrettino, un cassetto pieno di figurin(e), un bricchetto un foglio di lunario, una corda di un sipario, un cesto di lana con uno scaldino, una morsa, un mandolino, una tessera, un distintivo, un Crocefisso con il Signore vivo e una gran lettera d’amore profumata e dentro un cuore.
In una confusione così non lo sò che cosa ci stò a fare senza poter muovere un dito.
Mi sento come smarrito.
Un po’ d’ordine lo vorrei fare ma non so neppure dove (in)cominciare.
Avrei bisogno di aiuto e non lo domando… resto muto.
Mi sento pietrificato fra quelle cose abbandonate.
Tutte le volte che mi trovo lì sono sempre da solo inchiodato per ore e ore senza avere il coraggio di venirne fuori.
Credo proprio che non potrei neppure dire bene dove sono (mi trovo) so soltanto che mi sprofondo di tanto fuori da questo mondo.
È un grande sforzo di volontà che mi toglie di là
Soltanto con quello tutto sparisce e poi nell’ultimo capisco proprio prima di venir via che è il salone della testa mia.
GLOSSARIO
pén = pieno (attenzione all’accento e alla pronuncia; con la è aperta infatti significherebbe pane)
a m’artrov = mi ritrovo
piancit = alla lettera piancito, noi abbiamo tradotto con pavimento
scróll = alla lettara scrullo - figurato per molta
ravaston = disordine
guera del dic’dott = alla lettera guerra del diciotto, che è, naturalmente la prima guerra mondiale
bruchétt = bricchetto, nel senso di piccolo bricco o brocca
sipèri = sipario
una tessra, = alla lettera una tessera - in questo caso si tratta della carta annonaria che permetteva di ottenere razioni di cibo - tutto l’elenco degli oggetti meriterebbe di essere commentato e approfondito
smarit = smarrito - senza doppia r, come capita spesso in dialetto
fóra = fuori (d’nì fora = alla lettera di venir fuori - ovvero di uscire)
chèva = cava, toglie
arsparésc = riscompare - noi abbiamo tradotto con sparisce
‘l salon dla testa mia = il salone del la testa mia - finale un po’ a sorpresa per questo gioiello della poesia di Carlo Pagnini e, in generale, della poesia dialettale pesarese