Il Viaggio: Reale, Metaforico, Sognato
- Marta Scavolini

- 5 ott
- Tempo di lettura: 2 min
E LA “NOSTOS”

È difficile trovare qualcuno che non abbia mai viaggiato. Magari anche solo una volta nella vita e per un tragitto breve. Si viaggia per turismo, per affari o per studio. Oppure ci si sposta in altri luoghi per cambiare vita. C’è chi viaggia anche tutti i giorni, come i pendolari, esclusivamente per esigenze lavorative. E per ciascuna di queste categorie di viaggiatori, occasionali o abitudinari che siano, lo spostarsi, avendo significati e scopi diversi, viene vissuto in maniere diverse.
A maggior ragione oggi nell’epoca del turismo di massa, del consumo dei luoghi e delle tradizioni, secondo la logica del mordi e fuggi. Eppure tutti i viaggiatori portano con sé la propria storia, il proprio “io”, e si immergono in uno spazio altro rispetto a quello della loro casa, incontrando decine, centinaia, se non migliaia di altre persone. Per questo il viaggio è un tema che ritroviamo nelle riflessioni dei filosofi anche perché, contrariamente a quanto si possa pensare, i filosofi viaggiavano pure nei tempi passati, spostandosi per insegnare o per imparare.
E proprio il viaggio reale diventa occasione per approfondire la metafora della vita come viaggio, già apparsa all’interno della letteratura da Omero in poi. Dunque, come la vita, il viaggio è movimento ed esperienza. E come tale, se lo attraversassimo, dovrebbe cambiarci, mutarci in persone diverse. Ma è sempre così? È sempre vero che tornati da un viaggio siamo più ricchi? Lo stoico Seneca (4 a.C.- 65 d.C.) nelle “Lettere morali” dissente ampiamente:
“Perché ti stupisci se i lunghi viaggi non ti servono, dal momento che porti in giro te stesso? Ti incalza il medesimo motivo che ti ha spinto fuori di casa, lontano”. Sostenendo, come si vede, che spostarsi, sognando di poter cancellare così le angosce della vita, è solo un’inutile fuga. E su questo la moderna psicanalisi sembrerebbe avergli dato ragione: non è cambiando lo spazio che risolviamo i nostri problemi interiori.
Anzi, a volte, lo spazio di casa è sicurezza, aiuto, sostegno, è la meta agognata del “viaggio di ritorno” il Nóstos (νόστος) della letteratura greca, dell’Ulisse omerico e del suo struggente desiderio di Itaca. Non a caso la parola italiana “nostalgia” deriva proprio da questo antico termine. Ma allora dove trovare il lato positivo del viaggio?
Nel secondo aspetto di Ulisse, l’Ulisse che, pur per meato di Nóstos, è spinto verso le colonne d’Ercole, cioè verso la scoperta, verso l’ignoto, verso l’incontro. Verso ciò che la potente filosofia di F. W. Nietzsche nella “La Gaia scienza” appella in questo modo: “C’è ancora un altro mondo da scoprire - e più d’u no! Alle navi, filosofi!” O che il Poeta greco Konstantinos Kavafis in “Itaca” auspica: “Se ti metti in viaggio per Itaca augurati che sia lunga la via, piena di conoscenze e d’avventure”.
Ecco il viaggio, come la vita, deve essere questo: una crescita, un arricchimento, ottenuti attraverso l’accettazione di ciò che è altro da noi: spazi, persone e culture. L’uomo “viator” ha poco o nulla a che fare con l’uomo “turisticus” del selfie fine a sé stesso che non si preoccupa di capire veramente cosa ha visto e chi ha incontrato. L’uomo “viator” è come il pellegrino medioevale che non faceva un viaggio, ma compiva un cammino. Per tornare a casa migliore.





