Pesaro entra nel medioevo
- Marta Scavolini

- 4 set
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 7 set
SULLE TRACCE DI UNA CITTÀ QUASI SCOMPARSA (2a PARTE)

Dopo il riconoscimento ufficiale del cristianesimo avvenuto, nel 313 d.C. con l’Editto di Milano emanato dagli imperatori Costantino e Licinio, anche a Pesaro la nuova religione si diffonde rapidamente e la città trapassa da municipium a civita, ossia sede di diocesi e cattedra del vescovo. E sono proprio le testimonianze di natura religiosa quelle che ci sono pervenute e che sono oggi visi bili al Museo Diocesano collocato presso Palazzo Lazzarini (dal nome dell’architetto che lo progettò) ex sede del Seminario in via Rossini di fronte al Duomo. Per l’Alto Medioevo, fra le numerose opere d’arte lì raccolte, tre sono particolarmente interessanti: due sarcofagi e una pisside. Il primo sarcofago risalente all’epoca paleocristiana (VI-VII sec. d.C.) proviene dalla chiesa ora cimiteriale dedicata ai Santi Decenzio e Germano (della quale parleremo in un articolo dedicato alle chiese) ed è in pietra calcarea. Presenta una lavorazione a rilievo piatto, maggior mente insistita nel coperchio bombato sul quale, come si vede in foto 1 e 2*, troviamo in posizione centrale un grande vaso dal quale scaturisce l’in treccio di rami con foglie e grappoli d’uva, richiamo evidente all’eucarestia.
Lungo il lato A (foto 1*) sono chiaramente visibili al centro il monogramma del nome di Cristo in greco e ai lati simmetricamente due agnelli e due palmette. Nella parte posteriore (che in origine era invece quella principale - foto 2*) viene ripetuto il tema delle palme, questa volta cariche di frutti, così come ritroviamo il monogramma centrale. Gli animali riprodotti sono però due pavoni. Tutte le immagini quindi sono simboli che richiamano al sacrificio di Cristo. Lo stile e la tecnica di realizzazione ci indicano che si tratta di un manufatto di matrice bizantina-ravennate, diretta espressione di maestranze attive nell’ampio contesto geografico e culturale del do minio bizantino in Occidente. Il secondo sarcofago, proveniente da Ginestreto e databile attorno al VIII secolo d.C., è una testimonianza monumentale di eccezionale importanza per la particolarità dei temi rappresentati ancora in gran parte da decifrare.
Sul fronte (foto 3*), sono visibili al centro, tra due personaggi, una mano benedicente, forse quella di Dio, animali (caproni e pecore) e intrecci vegetali: il tutto inserito all’interno di una sorta di archeggiatura incorniciata da una iscrizione che riporta abbreviato il versetto 16 del Salmo 117 (La mano destra di Dio compì prodigi/La mano destra di Dio mi elevò alla Sua gloria).
Sul retro (foto 4*) troviamo una scena assai complessa che presenta quattro figure umane che sembrerebbero trovarsi all’interno di una casa: il fatto che una di esse “brandisce” una croce e che un’altra pare rappresentata in posizione contorta fa pensare alla liberazione di un ossesso. L’elemento particolarmente curioso è che tutti i personaggi sia sul lato A che sul lato B hanno gran di mani sproporzionate rispetto al resto del corpo e collocate in primo piano. Questo secondo sarcofago, che come è facilmente intuibile dai fori circolari visibili sul fronte, è stato usato in epoche passate come abbeveratoio, rap presenta bene l’arte del periodo storico di riferimento: un’era, quella delle invasioni barbariche, che vede l’abbandono delle forme classiche e l’affermazione di un linguaggio contaminato.
L’ultima opera, rarissimo oggetto liturgico del VI sec. d.C., è una pisside ovvero un contenitore per le ostie consacrate, dotato di coperchio, per poter somministrare l’eucarestia fuori dalla chiesa. Si tratta di un vero capolavoro di intaglio di eccezionale raffinatezza. L’oggetto, di forma circolare e di piccole dimensioni, è in avorio, ricavato da una zanna d’elefante, e presenta, lungo tutta la superficie senza soluzione di continuità, tre miracoli di Cristo: la guarigione della emorroissa, la resurrezione della figlia di Giairo e l’episodio del cieco nato. La prima scena (foto 5*) è collocata sulla destra dell’apertura del coperchio (che è rimasto intatto in tutti i suoi elementi) mentre al centro troneggia il simbolo della Passione circondato dalla corona della vittoria (della resurrezione sulla morte) A seguire, sul retro, il secondo episodio (foto 6*) e ancora, quindi sulla sinistra dell’apertura (foto 7*) il miracolo del cieco, curiosamente arricchito, in maniera simbolica, dalle presenze degli apostoli Pietro e Paolo.
La raffinatezza dell’esecuzione e l’assonanza dello stile testimoniano che si tratta di un’opera realizzata, molto probabilmente, dalle stesse maestranze che lavorarono alla famosissima Cattedra di Massimiano conservata al Museo Arcivescovile di Ravenna. A ulteriore riprova del collocamento di Pesaro nel la sfera bizantina durante l’Alto Medioevo. (continua)
*Consultare la copia cartacea del giornale o la copia in PDF (che potete trovare nella pagina seguente: https://www.ilriflessodellanotizia.com/archivio-1/4c093eb7-8527-4f11-b28d-ee163c2c7cda) per vedere i riferimenti alle foto nell'articolo completo





