Pesaro entra nel Medioevo
- Marta Scavolini
- 11 ago
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SULLE TRACCE DI UNA CITTÀ QUASI SCOMPARSA

Il periodo che intercorre dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, per convenzione fissato l’anno della deposizione dell’ultimo Imperatore Romolo Augustolo 476 d.C., al Mille viene definito dagli storici Alto Medioevo e si presenta come portatore di profonde e tragiche trasformazioni. Innanzi tutto una grave crisi economica, sociale e culturale dovuta al crollo del sistema amministrativo e alla frammentazione territoriale legata alle invasioni barbariche e poi una serie di conflitti che scuotono tutta la penisola.
Uno di questi, le cosiddette guerre greco-gotiche che tra il 535 e il 553 d.C. vedono contrapporsi, per il con trollo dell’Italia centrale, le forze bizantine (Impero d’Oriente) a quelle dei Goti (popolo barbaro), colpisce duramente la nostra città così come ci ricorda lo storico e generale bizantino Procopio di Cesarea nella sua opera “Guerra Gotica”.
Qui egli ci racconta come Pesaro (in dicata non più con il termine “poleis” cioè città, ma con quello di “polismata” cioè cittadina, forse proprio per sottolineare la sua avvenuta decadenza) venne quasi distrutta all’inizio del conflitto nel 535 dal re dei Goti Vitige per essere poi riconquistata dieci anni più tardi dal generale bizantino Belisario.
Anche se Procopio in un passo ci spiega che lo fece perché “considerava la città adatta al pascolo dei cavalli” sembra assai improbabile che fosse realmente così, primo perché Belisario fece ricostruire le mura e in secondo luogo perché il porto di Pesaro risultava assai utile alle forze bizantine per mantenere attivi i rapporti con l’Oriente.
Sta di fatto che successivamente Pesaro entra a far parte in maniera definitiva, e comunque fino al 752 quando il territorio passerà sotto i Longobardi del re Astolfo, del Ducato della Pentapoli*. La città quindi continua a sopravvivere anche se fortemente provata ed indebolita. Il tessuto urbano si ruralizza e compaiono ampie porzioni coltivate dentro la cinta muraria e per la prima volta vi vengono realizzati anche dei sepolcreti (come, abbiamo visto, testimoniato nel caso della domus di via dell’Abbondanza).
Le abitazioni più grandi sono parcellizzate, restringendo gli ambienti, al fine di creare un maggior numero di stanze di dimensioni più piccole per ospitare più nuclei familiari. Notevole esempio, questo, di “riciclaggio” e risparmio edilizio. A causa poi del dissesto idrogeologico che caratterizza tutto l’Alto Medioevo, presentando la piana alla foce del fiume Foglia ingenti problemi di impaludamento, il corso d’acqua ritorna al suo alveo originale deviando dallo spostamento che era stato effettuato in epoca imperiale.
Così facendo si avvicina alle mura nella zona di porta Ravegnana (incrocio tra le attuali via Castelfidardo e corso XI Settembre) e va a sfociare nei pressi del pontile chiamato “Moletto” in fondo a viale Zara. L’antico ponte romano (chiamato oggi “Ponte Vecchio”) risulta quindi del tutto inutile e viene abbandonato (come è possibile vedere nella piantina).
Alcuni storici ritengono che sia stata questa la causa della costruzione di un percorso alternativo per la strada Flaminia che, bypassando la città di Pesaro, da Fossombrone venne fatta deviare per l’abbazia di San Tommaso (ai piedi del castello di Montelabbate) e di lì per Babbucce scendere giù verso la località di San Cristoforo “ad Aquilam” (odierna Colombarone). Prove archeologiche certe non ne esistono, ma è plausibile che tale tracciato alternativo (diverticulum) sia esistito.
* Nell’Italia bizantina, il Ducato di Pentapoli era una circoscrizione militare territorialmente compresa tra Romagna, Marche e Umbria suddivisa al suo interno in due Pentapoli (dal greco “cinque città”): quella marittima con le città di Rimini, Pesaro, Ancona, Senigallia e Fano di pendenti dell’Esarco di Ravenna e quella montana con le città di Gubbio, Cagli, Urbino, Fossombrone e Jesi. Per tale motivo il ducato viene definito talvolta “doppia pentapoli” o “decapoli”.