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I Moti del ‘21



All’inizio del 1821, a Milano, successivamente all’arresto di alcuni studenti che portavano il berretto rosso con il fiocco nero (i colori della Carboneria), scoppiarono tafferugli tra simpatizzanti e la polizia e ci furono molti feriti.


Parteciparono alla rivolta personaggi come il Santarosa, il Collegno, Roberto D’Azeglio, San Marzano e Lisio. Il movimento si propagò anche in Piemonte e Liguria, ma i Savoia, per sedare la ribellione, fecero appello all’Austria, che non esitò a scagliare la cavalleria addosso ai rivoltosi.


Dopo tre mesi, il 9 aprile 1821, gli organizzatori della rivolta dovettero tentare la fuga verso la Svizzera o verso la Francia. Infatti, poiché un decreto proclamò l’appartenenza alla Carboneria reato di alto tradimento soggetto a pena capitale, un tribunale speciale pronunciò 70 condanne a morte, di cui solamente cinque eseguite, perché gli altri o erano riusciti a fuggire oppure erano stati portati in prigione.


Tra gli arrestati ci furono Silvio Pellico, Pietro Maroncelli, il più grande giurista del tempo, Domenico Romagnosi, Canova e Arrivabene. Questi dovevano scontare il carcere a vita nella fortezza dello Spielberg.


Venne arrestato anche Federico Confalonieri, il principale protagonista dei rapporti tra i patrioti lombardi e piemontesi, che, in preda al terrore, spifferò all’Inquisitore Antonio Salvotti i nomi di tutti coloro che erano coinvolti nella rivolta in Lombardia.


Di fronte alla dimensione del fenomeno, Salvotti propose ed ottenne dall’Imperatore Austriaco di restringere l’accusa solo ai maggiori indiziati e liberare gli altri con atto di clemenza. Lo Spielberg era una vecchia e tetra fortezza posizionata in un’altura che domina Brno e di cui ci ha dato precisa descrizione Silvio Pellico. Non tutti riuscirono a sopravvivere alla fame e al freddo; e infatti dopo soli 3 anni Oroboni e Villa morirono.


Nel 1827 Fortini, Solera e Ducco vennero graziati. Pellico e Maroncelli furono liberati solo dopo 9 anni, quando ormai erano ridotti a rottami. L’ultimo a lasciare lo Spielberg fu Confalonieri, ma la moglie Teresa era già morta.


Maroncelli scrisse che la Carboneria romagnola preferiva un governo austriaco a quello del Papa perché quello di parroci e monsignori avidi e incompetenti era un modo di “comandare assoluto, cieco e capriccioso” ed essi si “comportavano come feudatari del più buio Medio Evo”. In Romagna il regime papalino impose la chiusura anticipata delle taverne, la proibizione di qualsiasi gioco di carte, il divieto di circolazione dopo il tramonto.


Fu fatto un gigantesco processo contro oltre 500 sospettati tra cui “30 nobili, 156 possidenti e commercianti, 2 preti, 64 impiegati, 38 militari, 62 tra medici, avvocati, ingegneri, uomini di lettere ed artigiani”. Seguirono 7 condanne a morte; 54 condanne ai lavori forzati fino a 20 anni; 6 ergastoli e 230 condannati all’obbligo di confessione ed esercizi spirituali. Questo era il regime papalino dove la repressione, dopo il fallimento dei primi moti, era ancora la regola.



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