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Fato o Responsabilità?

 IL GIOCO DELLE PARTI


“Anche se un uomo mescola la calce, è sempre Dio che è il costruttore”. “Il destino mescola le carte, ma siamo noi a giocarle”.


Queste due asserzioni, distanti tra loro quasi tre millenni, sono, tematicamente, complementari. La prima ci proviene dall’antica cultura egizia. Si tratta, infatti, di un detto della “Sapienza di Amenemope”, uno scritto del IX-VIII sec. a.C. che ha lasciato una traccia importante anche nella Bibbia (nel libro dei Proverbi 22, 17 - 24, 22).


La seconda è presente negli “Aforismi della saggezza del vivere” del filosofo tedesco Arthur Schopenhauer (1788 1860). Entrambe parlano del destino o, per il credente, della Provvidenza.


Una però riconosce che esiste qualcosa o Qualcuno che ci supera e che interviene nel progetto della storia umana. L’altra, invece, esalta, attraverso la libertà, l’efficacia dell’azione dell’uomo. Da sempre si è cercato di capire quale sia la forza che governa il mondo e il farsi delle cose nel tempo.


Il “Fato”, termine questo di origine latina (“fatum”, ovvero ciò che è detto) indicava, nella cultura greco-latina, la decisione irrevocabile di un dio. In seguito fu individuato come un dio a sé stante (“Destino”, figlio del Caos e della Not te) al quale nessuno, nemmeno tutti gli altri dei, potevano sottrarsi.


Il dio Fato era immaginato cieco poiché interveniva a modificare il corso della vita degli uomini senza alcuna precisa ragione. Per questo più tardi venne identificato con le “Parche”, dalle quali appunto di pendeva il destino degli uomini: Cloto, la “filatrice della vita”, Lachesi, la “fissatrice della sorte” e Atropo, la “irremovibile fatalità della morte”. (Dal plurale della parola latina “fatum”, ovvero fata, deriveranno poi le moderne fate delle favole, cioè le dee del de stino).


Gli antichi associavano inoltre al concetto del destino quello di “fortuna” cosicché gli eventi che dovevano necessariamente accadere erano retti dal Fato, mentre le vicende umane, spesso contro ogni aspettativa e contro il volere degli uomini, erano guidate dal caso (Fors) e dalla Fortuna. Quella Fortuna che in epoca rinascimentale verrà spesso rappresentata con gli occhi bendati a significare proprio la causalità della buona sorte. Secondo questa visione quindi, quasi nulla l’uomo può fare per indirizzare la sua vita.


Alla stessa stregua anche per i cristiani non è semplice far coincidere il concetto del libero arbitrio con quello della Provvidenza divina. Senza scendere poi nelle particolari e complesse indagini filosofiche che si sono succedute dai tempi di Platone in avanti. Il problema comunque esiste perché interessa la vita concreta e l’atteggiamento che assumiamo nei suoi con fronti. “Chi voglio essere? Dove voglio arriva re nella vita?”, dipende anche e forse soprattutto da noi.


Non serve dare la colpa ad altri per ciò che ci accade, non serve gridare al complotto come troppo spesso oggi si fa. Perché il gioco delle colpe è una sempiterna strategia per evitare di guardare in faccia quelle che sono le nostre responsabilità. Molto più corretto continuare a mescolare la calce necessaria per la costruzione dell’edificio della nostra esistenza, lavorando con impegno e responsabilità. Molto più corretto giocare con intelligenza e abilità le carte che abbiamo in mano anche se non sono sempre in sequenza logica e definita. Gli estremi della rassegnazione scoraggiata, convinta che i giochi sono tutti già decisi, e dell’efficientismo orgoglioso, certo che tutto dipenda da noi, sono sempre da evitare. La vita è dono e impegno, è sorpresa e certezza.

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