Agostino
- Marta Scavolini
- 29 giu
- Tempo di lettura: 3 min
IL SANTO FILOSOFO CHE CI PARLA DA “LONTANO”

“Carneade! Chi era costui?”, rumina va tra sé Don Abbondio seduto sul suo seggiolone, in una stanza del pia no superiore, con un libricciolo aper to davanti (…). (incipit capitolo VIII de “I promessi sposi”)
Ecco noi potremmo esclamare: “Agostino! Chi era costui?” se non fosse che una importante chiesa della città di Pesaro è a lui dedicata e qualche frate dell’ordine degli Agostiniani lo conosciamo di certo. Ma Agostino non è solo un Santo del la Chiesa cattolica, è il filosofo delle “Confessioni”, uno dei libri più belli della storia dell’umanità. Un testo autobiografico che, scritto nel 398, parla ancora a noi oggi, credenti e atei, con la stessa forza di allora.
E questo per due motivi fondamentali: il primo riguarda i temi trattati, il secondo il contesto nel quale venne scritto. Partiamo dal secondo punto, il contesto, perché potrebbe sembrare strano che il 398 assomigli al 2025, ma in realtà è proprio così. La storia non si ripete mai uguale a sé stessa eppure circostanze e situazioni, problemi e cambiamenti si ripresentano con incredibili assonanze.
Ai tempi di Agostino, tra il Quarto e il Quinto secolo, troviamo una pandemia, la cosiddetta “peste antonina”, un cambiamento climatico, i grandi sommovimenti etnici, cui gli storici dettero il nome di “invasioni barbariche” ma che oggi vengono più correttamente definiti “movimenti di popoli” e il Sacco di Roma, cruento episodio bellico, avvenuto nel 410 per mano dei Visigoti di Alarico.
Quindi tempi difficili, difficilissimi, non troppo diversi dai nostri che fecero però pronunciare ad Agostino queste parole: “Sono tempi cattivi, dicono gli uomini. Vivano bene e i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi.” Ecco uno dei temi centrali delle sue riflessioni: il discrimine tra il Bene e il Male compiuto attraverso una sconvolgente e tormentosa esplorazione del mistero della psiche.
Potremmo quasi dire che Agostino, pur nell’alveo di un percorso teologico, sia il fondatore della psicologia, dello studio cioè dell’anima, ben prima di Freud. In un cammino di ricerca personale, ossessionato, giustamente, dal problema del Male, egli scandaglia proprio quel “qualcosa” che abbiamo nel nostro profondo. E ci indica la possibilità di scoprirlo.
Quel “Qualcosa che è nella memoria anche quando l’animo non prova più nulla”. Quel “Qualcosa che è come il rimpianto del profumo di cibi che non siamo ancora stati in grado di mangiare”. Quel Qualcosa che ribolle al di sotto dell’Io, inaccessibile all’intelletto: quell’“Interior intimo meo” quel più profondo del mio profondo. Che è il Bene ovvero l’Amore.
Agostino è, infatti, il teorico della Città dello Spirito contrapposta alla Città della Carne, cioè la Città di Abele contrapposta alla Città di Caino. Che è come dire la civiltà della Pace contrapposta alla civiltà della Guerra, all’ansia di predominio dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura.
Nelle pagine delle “Confessioni” egli ci chiarisce la possibilità concessa a ciascuno di noi di scegliere quale cittadinanza preferire. Nella storia umana così come nella psiche le due cittadinanze coesistono e sono drammaticamente mescolate tanto che ogni essere umano si ritrova tra le due a mezza strada e deve prendere, inevitabilmente, una decisione.
In quale Città vogliamo vivere, in quale Città vogliamo che i nostri figli vivano? Compiuta la scelta, agiremo di con seguenza e i Tempi cambieranno. Perché le città sono fatte di case, ma le case sono costruite con i mattoni e ognuno di noi è uno di quei mattoni.