Sulla Carta
- Paolo Pagnini
- 2 feb
- Tempo di lettura: 2 min

In questi primi giorni dell’anno la mia casa è invasa da scatoloni che con tengono libri. Provengono da un appartamento che andava liberato e ci è sembrato impensabile che rischiassero di finire in discarica. Insomma, una specie di eredità per interposta persona. Troveranno pian piano il loro posto sugli scaffali: alcuni a fianco dei libri che in questa casa ci abitano già, altri invece ben allineati a far bella mostra di se, su mensole realizzate ad hoc.
Mi piacciono i libri. Mi piacciono come oggetti, oltre che come contenitori. Mi piace che abbiano una copertina che protegge le pagine. Mi piace comprarli, sfogliarli, leggerli e poi allinearli sullo scaffale. E dopo magari riprenderli e rileggerne qual che passo.
E sono contento che l’oggetto libro, dato spesso per defunto e sorpassato, resista ai reiterati assalti della tecnologia, che con gli e-book e con gli e-reader, ci prova ogni tanto a mandarlo in soffitta, ma non ce la fa. E non ne faccio una questione di odore della carta, di sensazione tattile o di tutta quella serie di motiva zioni che generalmente vengono ad dotte dai sostenitori del “cartaceo” (tra l’altro, ma non c’entra, parola di rara bruttezza…).
Del resto non sono di certo io un tipo refrattario alla tecnologia. Chi mi conosce lo sa bene, e chi non mi conosce, si fidi. Il punto chiave credo sia proprio il concetto stesso di oggetto.
La tecnologia, che promette di migliorarci la vita e insegue il mito della perfezione, ha via via smaterializzato alcuni contenuti troppo spesso trascurando i contenitori e provando a generare l’idea (illusoria?) che la praticità potesse sostituirsi alla bellezza.
E se in questo processo ha avuto gioco facile con la musica, con il passaggio dal vinile al cd, e poi al file audio e ora allo streaming, ha incontrato molte più difficoltà col libro nono stante la indubbia praticità, leggerezza, multimedialità ecc. ecc. ecc. offerta dai contenitori digitali. Ci ho pensato su parecchio e credo di aver capito.
Il libro, mentre lo leggo, lo guardo, e lo tengo tra le mani. E dunque non mi allontano dall’oggetto/contenitore mentre assorbo il contenuto. La musica invece ha iniziato a “tradire” quando ha interrotto il contatto visivo affidandosi al compact disc che viene ingoiato dal lettore. E, tra l’altro, il libro lo leggono gli occhi, il cd lo legge un raggio laser. Ecco perché il vinile oggi ritorna: perché tutto il “rito” richiede attenzione, perché l’oggetto è delicato, perché volendo lo puoi guardare mentre gira (e un po’ ti ipnotizza), perché in mano ti resta una copertina di cartoncino, grande, bella e colorata e spesso coi testi da leggere, perché dopo poco più di 20 minuti devi alzarti dal divano per andare a girarlo dall’altro lato, insomma, per la cura che l’oggetto chiede e per il fascino che restituisce.
È la rivincita dell’oggetto, del supporto/contenitore che si fa contenuto. Non è un caso se ogni mese mi e ci leggete su “Il Riflesso della Notizia”, il “sogno di carta” realizzato da uno di quegli editori per passione, che da sempre sono i più attenti a impostare la propria attività sulla ricerca dei contenuti e sulla cura nella realizzazione dei contenitori.