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La Cultura della Sopraffazione


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Mi capita di chiedermi, in questi tempi in cui le giornate si riempiono del racconto di conflitti, prevaricazioni, soprusi, violenze, come si possa provare ad immaginare una via da percorrere per andare verso vite da vivere con pienezza e soddisfazione.


Questa cultura della sopraffazione nel la quale viviamo immersi ogni giorno, suggerisce costantemente l’idea che chi viene sopraffatto sia anche in qualche modo co-responsabile di ciò che subisce. E questo rende plausibile l’eliminazione anche fisica del più fragile, come modo di risoluzione del conflitto. Da qui i femminicidi, ma anche il bullismo, le truffe agli anziani e ai più deboli, insomma tutto il corollario di episodi che riempiono le cronache, conquistando titoli e prime pagine, con la conseguenza, tra l’altro, addirittura di aggiungere “valore” a questi riprovevoli comportamenti, rendendo i protagonisti famosi e in qualche modo, se pure in accezione negativa, “eroi”.


Cosa fare, dunque? Da una parte, io non esiterei a relegare all’oblio le azioni e i protagonisti, dando invece massimo risalto alle conseguenze penali che colpiscono chi si macchia di questi reati. Dall’altra coltiverei quella che io vedo come unica soluzione, ovvero una introduzione massiccia della cultura del rispetto.


La cultura del rispetto si basa sull’idea che il più fragile va comunque protetto, sempre. E che questo atteggiamento è la migliore dimostrazione di forza. Invece siamo al perpetuarsi della legge del più violento. Nelle case, sulle strade, in politica, nella pubblicità, nello sport, in guerra. Il più violento, il più cattivo, il più implacabile sembra destinato a vincere sempre, e qualcuno potrebbe anche far si l’idea che in fondo sia giusto così.


Attenzione: non ho scritto “la legge del più forte” (che appunto prevede come massimo gesto di forza il rispetto per il più fragile), ma del più violento, con tutto ciò che ne consegue.


A partire dal linguaggio quotidiano che privilegia e indica come più efficaci i termini violenti (asfalta, svernicia, distrugge, umilia), per proseguire con l’accettazione di invasioni armate e di “ovvie” conseguenti reazioni, arrivando alla momentanea indignazione di fronte ai crimini, che immediatamente si trasforma in desiderio di vendetta cruenta, e nella voglia di armarsi, rinchiudersi e rinchiudere.


Si è diffusa nei mesi scorsi una specie di leggenda, secondo la quale in Giappone, chi arriva prima sul posto di lavoro, parcheggia l’auto lontano dall’ingresso, in modo da lasciare i posti più vicini a chi arriva all’ultimo minuto. Non so se sia vero, ma mi sembra una bella metafora di quello che voglio dire, soprattutto se proviamo a svincolarla dall’idea del lavoro, e ce la immaginiamo come abitudine, anche riferita ad altre occasioni: un concerto, ad esempio o una visita medica, o la frequentazione di una palestra, o un evento sportivo. Arrivo in anticipo. Ho più tempo, che, in quell’occasione è la mia forza. La uso per aver cura di chi, per quel giorno e per vari motivi, è più fragile di me.


Il concetto da far passare e far crescere è che la fragilità va sempre protetta. “Vincere facile” è invece un comportamento da abbandonare. Vale nei rapporti familiari e in generale interpersonali, sulle strade, nello sport, sul lavoro.


La cultura della sopraffazione, si alimenta dell’idea che ci sia sempre e comunque un nemico da sconfiggere. La cultura del rispetto si basa sul concetto che la massima esibizione di forza stia proprio nell’attenzione e cura per chi altrimenti finirebbe per soccombere. Sta a noi, scegliere da quale cultura farsi accogliere, quale adottare.

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